FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2022 – 2 Ph (autoscatto) su carta cotone -patchwork carta-cuciture macchina-smalto-filo oro-pastello olio - 50 x 50 cm Ecclesiaste 1 -2- Vanità della Vanità, tutto è Vanità. FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2023 - 10 Ph (autoscatto) su carta cotone- patchwork carta- cuciture a macchina-filo oro-smalto acrilico -pastello a olio. 50 x 50 cm Ecclesiaste 1 – 10 C’è forse qualcosa di cui si può dire: “Guarda, questa è una novità “? Proprio questa è già stata nei secoli che ci hanno preceduto. FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2023 – 5 | 6 Ph (courtesy Adolfina de Stefani) su cara cotone- patchwork carta-cuciture a macchina- pastello olio-smalto acrilico- filo oro. 50 x 50 cm Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Ecclesiaste 1 - 5 | 6 FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2023 - 7 Ph (autoscatto) su carta cotone- graffite - smalto acrilico- patchwork carta- cuciture a macchina- filo oro 50 x 50 cm Tutti i fiumi portano al mare eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia. Ecclesiaste 1 – 7 FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2023 – 17 Ph (courtesy Adolfina de Stefani) su carta cotone- patchwork carta-cuciture a macchina- filo oro-smalto rosso. 50 x 50 cm Ho deciso allora di conoscere La sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento. Ecclesiaste 1-17 | FILTRO_VENEZIA ADDENTRO 2023 Nel 2021 frequentai lo studio d’arte veneziano, Oi Va Voi. L’artista Roman Tcherpak, mi scrisse con pennino e inchiostro il ventre, realizzando in questo modo un’opera di pittura su pelle, con caratteri ebraici che narrano tutto il primo capitolo dell’Ecclesiaste: La vanità delle Vanità. A completare l’opera di pittura su corpo fu la sua compagna, Giulia Povolato, che mi decorò schiena, gambe, braccia e nuca con dei segni fortemente ispirati - a mio avviso - alle linee dei tratti di Hilma af Klint. Mantenni l’opera scritta sul mio corpo per l’intera giornata, eseguendo degli autoscatti allo specchio per poter “leggere” e studiarne la completezza. E, ritornando successivamente presso la Galleria Visioni Altre, dove si esponeva una mia mostra personale dal titolo, FUORICORPO, ne nacque una performance estemporanea. Una serie di scatti fotografici per mano di Adolfina De Stefani fu lo stimolo e la storicizzazione di tale scrittura su pelle, mentre ne denudavo via via l’opera. Essere la pagina, attraverso la propria pelle, di una scrittura sacra e di linee trascendenti la spiritualità, mi ha indotta ad un lungo percorso di riflessione sull’origine culturale di una piccola parte del mondo, quale Venezia. Perché scegliere per me tale scrittura? Un caso, oppure un intento? Cosa potrà mai servire scrivere in un carattere considerato sacro sulla nudità di un corpo? Le risposte possono essere molteplici. Da un semplice atto artistico ad un più profondo rimando a ciò di cui ogni corpo potrebbe essere costituito: cultura. Come da sempre sostengo, la parola, dunque di conseguenza anche il segno e la scrittura, non esisterebbero se non vi fosse un corpo che li pensa, che li genera, che li ostenta, come anche esibisce. Al contempo, pensare alla sacralità dell’Ecclesiaste, forse profanata proprio perché impressa sulla nudità femminile ancora più mi induce a pensare ad un soverchiamente atto in cui si tenta di stravolgere il patriarcato, quale potere che dalla notte dei tempi tenta di mantenerne sapienza e cultura. Inoltre, le profonde riflessioni le ho indirizzate alle parole stesse che il primo capitolo dell’Ecclesiaste racchiude, ovvero la vanità delle vanità. Tutto è vanità. Venezia è vanità. L’esibizione del corpo è vanità. La cultura è vanità. L’arte è vanità. Allo stesso modo l’etereo concetto di vanità, quale inconsistenza, potrebbe essere comparato a quel vuoto orientale dentro cui il vuoto è pensiero, materia. E, le parole che compongono questo capitolo sono concetti che rimarcano l’eterno ritorno, il ciclo tra giorno e notte, tra vita e morte, tra corporeo e incorporeo. Il ciclo sacro della rinascita attraverso la morte. Vanità, oppure vanità? Seguendo questi e altri pensieri ho realizzato le opere del ciclo Filtro_Venezia Addentro (altre sono in lavorazione). Ho pensato di dare visibilità a questa opera composta da incroci e confronti tra più persone, come sopra citato, poiché il fulcro della trasmissione culturale nasce proprio dal confronto tra più esseri. Il titolo nel quale si cita CULTURA EUROPEA: EQUILIBRIO (IN)STABILE - Noi siamo passato, presente e futuro mi ha ulteriormente indotta a presentare questo lavoro, in quanto l’equilibrio è la forma meno stabile e più stabile al contempo e rispecchia il concetto di vanità delle vanità: un tragitto in cui i passi vanno ponderati, studiati e riflessi. E passato, presente e futuro ne sono il bilanciere del funambolo. Venezia, scrittura ebraica, Ecclesiaste, Bibbia, tratti rimandanti Hilma af Klint sono sì una piccola e grande partecipazione alla cultura europea, ma anche più ampia. E passare attraverso un filtro significa prendere atto di ciò che siamo, come di quel che saremo e di cosa eravamo. Qui accanto cinque opere del ciclo Filtro_Venezia Addentro. Nelle didascalie delle opere tutta la descrizione e poetica. Il taglio che ne ho dato riporta al movimento dell’acqua della laguna, il movimento del vento, la circolarità del movimento, la tridimensionalità attraverso il multistrato di carte e cuciture, come la sacralità con il filo oro quale comunicazione della cultura che ogni essere porta con sé per dare agli altri. Queste cinque opere sono esposte presso la Galleria Visioni Altre - Campo del Ghetto Novo a Venezia, dal 1° al 31 maggio 2023 ©Barbara Cappello |
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NUDITUDINE è un progetto nato nel periodo di lockdown del 2021. Dopo aver fatto una Call sul social in cui chiedevo a chi volesse mettersi in gioco nel definire con una sola parola lo stato di nudità e solitudine, da cui ho coniato il neologismo NUDITUDINE, ho avuto risposta da cinquantacinque presone. Dunque ogni parola suggerita la ho trasformata in opera sovrascrivendola ad uno degli scatti fotografici da me realizzati. L'intera opera è composta da cinquantadue pezzi dal formato 10 x 10 x 1,5 cm e da tre pezzi dal formato 20 x 20 x 2 cm. Oltre alle opere è stato realizzato un libro d'artista composto da altre cinquantatré opere originali su carta. La composizione dell'opera prevede una suddivisione delle piccole opere in capitoli, in cui ho composto una narrativa per ognuno con l'utilizzo delle parole. Risultano dunque: un pro logo, undici capitoli e un post logo. La presentazione di tutto il progetto è in programma per ottobre 2022. E durante questo evento si terrà un vero e proprio simposio, con tema queste parole riferite al concetto di Nuditudine e liberamente espresse e narrate dai partecipanti; una performance aggregativa in cui quel logo di solitudine nuda interiore si proietterà in un video in diretta sulla parete dello spazio espositivo. I simposiasti saranno dunque coloro che hanno prestato la loro parola, come anche altri liberi partecipanti. Qui di seguito la struttura di tutta l'opera Nuditudine e relativi capitoli. ©Barbara Cappello ![]() Pro logo Ultima Resistenza -nudità è solitudine virtuosa-
Nuditudine - project 2021/2022 -
DISINCANTO nella UNICITÀ dell’EQUILIBRIO quale RISERBO SUBLIME, OCCULTO nel trascendere l’ANIMA. 10 x 10 x 1 cm Ph su carta cotone, china a pennino, smalto, filo oro. Ora tutte le 53 opere sono ultimate. 51 di formato 10 x 10 x 5 cm e 3 di formato 20 x 20 x 2 cm. Inoltre l'opera si presenta anche in forma di libro d'artista. 53 pagine originali in cui ogni pagina è una opera sestante. Di questo mi rimane solo la rilegatura. Dunque sono quasi giunta al momento di una presentazione del lavoro e del progetto. Il periodo che sto imbastendo sarà durante l'autunno 2022, penso durante il mese di ottobre. Il luogo è già destinato ( sono molto esigente riguardo ai luoghi dove propongo i miei lavori, perché necessitano di un certo vissuto storico, come di intimità, come di relazione con i lavori stessi), ma per questo lascio una sospensione. Certo il luogo è in provincia di Trento. A proposito di autunno avrei grande piacere di avere ( per chi ne avrà la possibilità) la presenza di coloro che hanno dato definizione al concetto di Nuditudine con una unica parola. L'idea progettuale prevede la creazione di un simposio vero e proprio ove la parola scelta potrà essere forma descritta, piuttosto che narrativa. Sarà mia premura raccogliere ogni esternazione per creare una opera seconda in un lavoro artistico video con Luciano Olzer. Nuditudine project 2021/22
STIMOLANTE INCAVO sacro dell’ATTRATTIVA nel GIARDINO, tra le setole labbra del verbo. Ph su carta cotone, china, smalto, filo oro. 10 x 10 x 1,5 cm NUDITUDINE è un progetto nato nel periodo di look down del 2021. Dopo aver fatto una Call sul social in cui chiedevo a chi volesse mettersi in gioco nel definire con una sola parola lo stato di nudità e solitudine, da cui ho coniato il neologismo NUDITUDINE, ho avuto risposta da cinquantatré presone. Dunque ogni parola suggerita la ho trasformata in opera sovrascrivendola ad uno degli scatti fotografici da me realizzati. L'intera opera è composta da cinquanta pezzi dal formato 10 x 10 x 1,5 cm e da tre pezzi dal formato 20 x 20 x 2 cm. Oltre alle opere è stato realizzato un libro d'artista composto da altre cinquantatré opere originali su carta. Il progetto è ancora da concludere, dunque in fase di finitura. © Barbara Cappello Le impronte grafiche di Alessia FeeelA Carli
![]() Se il furore di una onda oceanica potesse imprimersi sopra una tela, piuttosto che un foglio di carta di cotone, tenterebbe di soverchiare la percezione della posizione gravitazionale di un corpo vivente. Porre un essere con la testa di sotto traduce questo acqueo tentativo da parte della spuma mobile marina quale esito di un lavoro artistico eseguito nella piena consapevolezza di avere la testa al posto dei piedi. Immaginiamo pure che l’artista, come nel caso di Alessia FeeelA Carli, abbia insito questo approccio del movimento fisiologico marino e per certo vedremo chiaramente come l’onda dell’acqua sale impetuosa verso l’alto, spinta da una forza energetica, si ferma un brevissimo istante “a testa in giù” per osservare il mondo al di sotto e poi ricade fragorosa nel basso, per arrivare talvolta negli abissi. Un timbro sonoro, tuttavia impresso sulla rena, che poi si dissolve nei flussi acquei del mare. Percorrendo le espressioni artistiche di FeeelA – che nel testo continuerò a chiamare con questo nome d’arte da Alessia scelto come firma, che a descrizione sua risulta essere un acronimo siffatto: “Fee”, che dal tedesco si traduce in Fata, più “eLA” che letto al contrario risulta “Ale”e semplicemente è il diminutivo del suo nome di battesimo, ma che per rimando fonetico “Feela” nella lingua Shoto significa “sentire” – si viene trasportati dentro il mondo capovolto. Quel mondo in cui Alice vi approda con il varco nello specchio, ma non per questo siffatto di allucinazioni oniriche, bensì delicatamente composto da impressioni timbriche sulla carta, in cui le immagini affiorano, come sulla superficie acquea e narrano di chimeriche donne – forse sempre la stessa - che si dissolvono e riconoscono e amalgamano con l’essere marino piuttosto che aviario. L’impressione timbrica nella tecnica da FeeelA utilizzata è il risultato delle stampe monotipo e cianotipo che ella utilizza, in cui la stampa dell’immagine principale si ripete come l’eco fragorosa della cadenza ritmica dell’onda costante; e sopra questo “timbro” ripetuto, la figurazione animale, piuttosto che vegetale o di altra natura, attraverso il colore ad olio, la china e talvolta il colore acrilico, affiora come lo sfaldamento dell’onda, lasciando per l'appunto il disegno sul “bagnasciuga” della carta di cotone. ![]() Ma il “sentire” entra deciso nei lavori artistici di FeeelA, quale atto magico che si nasconde nelle sue impressioni timbriche. L’alchimia, degli ingredienti cianotipici, quali ferrocianuro di potassio e citrato ferrico ammoniacale, è sicuramente uno degli atti magici, tuttavia l’effervescenza che queste piccole opere sprigionano hanno un rimando quasi diretto con l’atto magico di Paesi lontani. Se per alcuni versi l’evocazione a Joyce è fortemente presente nel moto marino di FeeelA, altrettanto il richiamo ad una cultura messicana non è da meno. Paradossalmente Irlanda e Messico sono due Paesi opposti per geografia, cultura, colori, clima. Ad ogni modo in comune hanno l’elemento magico, sciamanico, e un fortissimo legame con l’elemento naturale, e la relazione con i propri defunti. Dunque le espressioni timbriche non solo sono “quell’onda bianca scintillante sulla marea velata” come nell’ “Ulisse” leggiamo, bensì sono quei forti accenti che possiamo sentire e vedere nell’arte tradizionale messicana realizzata su Papel Amada, ove il timbro che evidenzia il disegno è ben definito e riempito con un colore monocromatico acceso. E, forse, la miglior definizione che sovviene per i lavori artistici di FeeelA è pari ad una delle carte degli Arcani Maggiori, la XII, ovvero “L’Appeso”; si presenta a testa in giù per una sosta, una meditazione e un dono di sé stessi, un capovolgimento e naturalmente una profondità. Magia, estetica, ricerca nella relazione tra essere umano e natura, generosità artistica sono ingredienti che compongono la persona di FeeelA, poiché la sua arte non si esprime solo attraverso i suoi lavori, bensì si concreta anche nella sua vita professionale in cui con l’uso della lingua inglese insegna arte ai bambini delle scuole primarie; una didattica ove l’apprendere passa direttamente attraverso la realizzazione di lavori artistici, che hanno principalmente la magia dei druidi irlandesi, come degli sciamani messicani, come lo stupore della creatività libera, quale strumento rafforzativo all’apprendere. ![]() Ma non solo, FeeelA mette in atto dei laboratori per donne, seguendo la filosofia di ”Ladies Drawing Night”, in cui durante l’incontro serale, con una bottiglia di vino – quantomeno per la filosofia di Julia Rothman, Leah Goren e Rachel Cole, attorno a un tavolo il disegno libero diviene logos espressivo. Luogo in cui il convivio e il simposio sono arte, creatività, ispirazione senza giudizio alcuno e la magia esplode nella relazione tra presenti. Provando dunque a immaginare di mettere la testa al di sotto e i piedi al di sopra e ad “Una mano che tocca le corde dell’arpa fondendo armonie intrecciate”, prendendo a prestito le parole di Jocye, si dipana la mano di FeeelA dentro la sua arte quale espressione magico realista sulla volatilità cartacea. ©Barbara cappello Nuditudine 2021/22 project -
RESPIRANDO la PUREZZA trasmuto in una carezza di PIUMA: SENSIBEATITUDINE. 10 x 10 x 1,5 cm - ph su carta cotone, smalto, china. Qui quattro delle opere che compongono il progetto. NUDITUDINE è un progetto nato nel periodo di look down del 2021. Dopo aver fatto una Call sul social in cui chiedevo a chi volesse mettersi in gioco nel definire con una sola parola lo stato di nudità e solitudine, da cui ho coniato il neologismo NUDITUDINE, ho avuto risposta da cinquantatré presone. Dunque ogni parola suggerita la ho trasformata in opera sovrascrivendola ad uno degli scatti fotografici da me realizzati. L'intera opera è composta da cinquanta pezzi dal formato 10 x 10 x 1,5 cm e da tre pezzi dal formato 20 x 20 x 2 cm. Oltre alle opere è stato realizzato un libro d'artista composto da altre cinquantatré opere originali su carta. Il progetto è ancora da concludere, dunque in fase di finitura. © Barbara Cappello Gli scavi nelle opere di Marisa Brun![]() “Perché ci lamentiamo della natura? Essa si è comportata generosamente: la vita, se si sapesse usarne, è lunga”. -Seneca- ![]() Trovarsi a vis-à-vis con Marisa Brun. Veleggiare con lo sguardo oltre la sua persona nel contorno che appare tra una lieve coltre opaca del pulviscolo di carton-legno. Seguire il suo parlare ancheggiante da mezzo soprano. Farsi rapire dai suoi scavi. Questa potrebbe essere la sintesi delle sensazioni quale primo acchito che vibra sopra la pelle appena oltre la soglia con l’incontro nel suo Atelier. Rudimentale il piano di legno dalle piccole dimensioni posto su due cavalletti, sul quale campeggia un manipolo a micromotore rotante, mozziconi di gessetti raccolti in una scatola rettangolare. Carta vetro a grana grossa da legno e altri piccoli utensili da artista; una rassegna di vasi di terre pigmentose di diverse cromie posti su uno scaffalino retrostante. Tutto intorno si apre una arena di opere in cui le figure umane divengono creature viventi che condividono la vita con Marisa, contornandola di racconti a volte sacri, talvolta profani, tuttavia sempre profondi, ancestrali e mai dimenticano di tenere a mente l’importanza della vita vissuta in ogni sfaccettatura, in ogni tempo, in ogni era; divengono quel memento tantrico quale stretta relazione tra natura e essere vivente. Seguendo la filosofia nietzschiana, Marisa Brun esprime in una delle sue opere - “Così parlò Zarathustra”- il concetto in cui l’uomo deve entrare nello stretto rapporto con la terra e lasciare la tecnica. Nell'osservare le scanalature del bassorilievo cui è composta, salta agli occhi la spiga di grano che questo essere umano brandisce; forse uomo, ma anche donna, in quanto pare di vedere Demetra, che giace su un fianco al di sotto di messi. È corniciato nella parte superiore da strumenti tecnici, i quali rimandano a degli ornamenti geometrici di epoca romana. Una spiga come una fiamma. Un lavoro che narra. Racconta. Parla. Dice di storia. Dialoga con l’osservatore. Svela di Marisa la sua passione per la natura, come per l’archeologia romana. Marisa Brun, archeologa, dunque, scava per realizzare le sue opere. Da un pannello composto da cartone e legno pressato, chiamato anche cuoio, spalma una massa di pigmento in diverse cromie, lo fissa e successivamente incide scavando. Estrapola le forme che sono sotterrate dai vari strati pressati, esplora questa “terra”, riporta in luce esseri appartenuti ad un passato culturale che abitava nella mitologia, come dentro la filosofia, come semplicemente in un qualsiasi periodo temporale di vita. Narra di loro, talvolta, drammi, come gioie. E favorisce la possibilità a queste figure di vivere nell'ambientazione da cui sono circondate. Crea loro il movimento perpetuo del vento, come dell’acqua, come dell’erba che si sposta a seconda di una folata imprevista. Marisa Brun ama il suo vivere sola. Ama restare a dialogare con quei pensieri che queste figure esprimono. Trova la sua meditazione profonda nel confronto con le creature da lei fatte emergere dal buio. Probabilmente riceve delle risposte a domande intime, indicibili, traendo quella luce da seguire per il suo cammino di vita, così lungo e generoso con lei. Una vita che ha saputo, ma ancora sa, usare, perché cosciente di tale dono. Donna e artista indipendente. Autodidatta. Anarchica nel segno dello scavo. Marissa Brun mai è scesa a compromessi durante la sua carriera artistica, come di vita. Un pensiero critico di rilievo, che le ha permesso di realizzare ciò che era ed è nei suoi progetti. Ricordo di lei la Galleria Quadri Arte, nel quartiere di San Martino a Trento, in cui sono passati ad esporre diversi artisti, come l’impegno in diverse associazioni Culturali. Facendo un piccolo balzo indietro nel tempo di Marisa, possiamo percorre la sua evoluzione di ricerca nel suo operato artistico. Partendo da una pittura che oserei chiamare cubismo espressionista, traccia talvolta con tempere, altre con acrilico, linee e figure che agli occhi di oggi sono l’embrione dei suoi basso rilievi su carton-legno. Dopodiché sperimenta i “telari lavati”. Opere realizzate su tela Penelope: getta terre pigmentose, le fissa, le lava ripetutamente per estrapolare in un secondo tempo delle figure. Ecco che anche qui troviamo la smania di mettere in luce, svelare. In seguito si giostra su terre graffiate. Pigmenti su cartone telato, fissati e scarta-vetrati, su cui rimarca a carboncino delle linee che compaiono flebili e tracciano contorni antropomorfi dalle espressioni drammatiche. Nuovamente la sua natura per lo scavo affiora. Ecco che trova il suo segno, anarchico, poiché è scevro da regole e assolutamente libero nel suo esprimersi. Linee armoniche, ondeggianti creano paesaggi naturali attorno a figure umane perfettamente in simbiosi con esse. Linee scavate nella superficie quali solchi tracciati da un aratro trainato dal lento moto dei buoi. Solchi che cantano alla luce di storie umane. Tracce che soffiano negli occhi e riempiono le narici di polvere terrestre in cui l’odore della natura urla la sua urgenza di ritrovare quell'equilibrio simbiotico, quale religione animista di un futuro più che prossimo. Marisa Brun danza con quel Dio che Terra è dentro l’aria. Barbara Cappello ![]() Lieta e onorata che la mia opera CANTO QUINTO sia tra le esposte a DANTE IN ARTE - Interpretazioni dantesche contemporanee: viaggio grafico nell'oltretomba al Centro Trevi - TreviLab di Bolzano. Inaugurazione giovedì 30 settembre ore 18:00 - dal 30 settembre al 28 ottobre 2021. Orari mostra: LUN MART MERC VEN 10/13 e 15/18 - GIOV 18/20 Per visite guidate, info e prenotazioni: danteinarte@gmail.com e 374 0173171. Ligua IT/DE - singole-classi-gruppi Orari visite guidate: GIOV 18:30 la mia opera : CANTO QUINTO "Nelle profondità della vita, parla spingendo arcani a rivelarsi, la Parole universa, non finita, che porta in grembo tutti i mondi sparsi. „Con la mia luce, trova in te l’uscita dalla tua singola anima! Agli scarsi atti di cuore, col mio raggio, addita l’unica vera via: sacrificarsi!„ Odo: e il mondo in sé stesso è vita vuota, gelida, senza forza, è morte sola, se non gli do l’anima mia devota. Per questo ho corpo, in terra, in acqua e in aria perché la macrocosmica Parola, ch’è in me rinasca umana e volontaria”. Arturo Onofri – 72 Suoni del Gral – Sebbene Dante vede la lussuria dentro il Secondo Cerchio infernale, altresì soffre quando l’amore di Paolo e Francesca vagano come anime nella dannazione del Quinto Canto. Volutamente ho scelto, con accuratezza questa lirica di Onofri, per porre quel raggio di luce che il Sommo ebbe potente poc’anzi svenire difronte alle anime dannate degli amanti. Dante sa che l’amore potrebbe essere indiscusso, che soffre del dogma imposto, quale spada pronta a decapitare ogni corpo, qualora il misfatto carnale preponderasse al mistico Amore Spirituale. Sappiamo quanto Dante, con il suo Alter Ego Virgilio, navighi nei luoghi della Divina Commedia, in perenne conflitto tra sacro Cristiano e “profano” politeista derivante dalla Sapienza Greca. Pertanto ho ritenuto doveroso attraverso le parole dell’orfico Onofri dare forza a questo Cerchio. Un cerchio in cui il sacrificio passa attraverso l’Amore considerato adultero, tuttavia fedele al supremo verbo della Parola stessa: Amore! Nella mia opera si invoca una danza, come in realtà Dorè evidenzia nella sua tavola: i corpi si definiscono nell’atto assoluto di Amore, mentre il contorno rimane sfocato dalle anime in pena, che si confondono nell’ombra della oscurità. Nel mio lavoro, solo la cucitura rossa potrebbe rimandare alle fiamme infernali e la geometria sconnessa della composizione in patchwork della carta presenta le anime circostanti, ma anche una luce sulla purezza dell’amore. Nella seconda strofa, Onofri esprime tutto questo mio concetto: „Con la mia luce, trova in te l’uscita / dalla tua singola anima! Agli scarsi / atti di cuore, col mio raggio, addita / l’unica vera via: sacrificarsi!„ Certo sono consapevole dello stravolgimento che applico con questo Canto Quinto, tuttavia sono convinta che il Nostro Poeta Massimo fosse lucido nel farci arrivare questo messaggio…forse criptato dal costume religioso imposto. Trento, lì 11 marzo 2021 Barbara Cappello Titolo: Canto Quinto Anno : 2021 Misure: 70 x 70 cm Tecnica: Foto digitale ( gli scatti sono da me realizzati) su carta cotone Arches 160gr , Patchwork carta cotone Arches 250gr, pastello olio, resina, cuciture a macchina, intelaiato su tela. ![]() Rive del cuore dai sogni battute Questo fuoco desiderio che ti consuma Viene a morire in risa increspate L’acqua marina di una spugna E le memorie le più ostinate André Gaillard L’opera d’arte in sé è la prole generata dalla mano dell’artista. Essere genitori, o genitrice, come nel caso di Chiara Coltro, di Universi grondanti di emozioni, risulta una particolare eccezione; certo se ne riconosce l’identità filiale, tuttavia in esse se ne contraddistingue nettamente un carattere scevro da condizione e tutela materna. Ciò significa che nelle opere da lei realizzate si percepisce un taglio di cordone ombelicale che porta ogni singola opera ad una manifestazione di alterità in cui l’osservatore ne coglie la traccia emersa. Il colore è forza assoluta. Gestito dall'artista in piena consapevolezza esplode e genera forme rigorosamente matematiche. Certo i numeri espressivi sono ben coperti dai turbinii delle setole dei pennelli, ma l’armonia e quelle regole auree si percepiscono dritta nel petto. Sono guerriere, queste opere, che oso chiamare “Eversioni Cromatiche”, poiché tuonano come Zeus mentre brandisce la sua folgore, danzano come Artemide, cacciatrice in assoluta simbiosi con la forza delle Foreste, volteggiano come Ecate nella profondità della notte, camminano nell’acqua come venere sulla spuma delle onde da cui nasce. Opere che affrontano l’inconscio, che sovvertono un ordine costituito dalle forme concrete, che abbattono il senso dello smarrimento talvolta provocato dall'astrattismo, che avviluppano lo sguardo in un vortice in cui tutti i colori divengono un unicum con il messaggio in esse intrinseco.
Per eversione si intende distruzione, abbattimento, rovina. Ma nel caso delle opere di Chiara Coltro, l’Eversione Cromatica è ciò che esplode, per potenza del colore, ciò che volge sottosopra, ciò che rovescia, generando una breccia, ovvero lo squarcio per un percorso di conoscenza in cui l’osservatore transitata nella via della catabasi e trova quella forza e luce calda per aprire sé stesso. Come Citerea, Chiara Coltro, fornisce con le sue opere la “Chiave dei Sogni” – titolo questo della poesia di cui il verso sopra di A. Gaillard -. Sogni che spesso rimangono bui senza quella prorompenza generata appunto da una Eversione Cromatica quale nucleo della sua arte. Possiamo scorgere le nuvole, in un vorticoso cielo infiammato, ove il nero prepondera: un abito da indossare, quale vessillo inteso come la penna degli uccelli, per volare oltre ogni convenzione. Possiamo tuffarci nel blu da cui lei proviene, per incontrare un magma arancione e farci bagnare di gioia, entusiasmo e coraggio. Nuotare sospesi nelle profondità abissali con il calore dell’ardimento. Possiamo farci trafiggere dalla freccia scoccata, poiché l’Eversione Cromatica che ne scaturisce è quella linfa bollente di cui il corpo necessita. E il desiderio può consumare coloro che restano nel buio onirico, per andare a morire su risa increspate di cui la memoria ne è la più ostinata. Opere, le creazioni di Chiara Coltro, in cui la rimembranza è l’oggetto imperituro su cui la forza del colore scrive le sue missive. Trento, lì 8 agosto 2021 Barbara Cappello ![]() Figlia di Clara, Claretta per battesimo, ma dato che era nata nel 1947 il prete di Montevaccino fece un putiferio prima di battezzarla. Dunque capiamo che cosa fu il futuro di una donna, quale mia mamma, che per alcuni anni della sua vita fu segretaria particolare di Almirante e successivamente anarchica chomskiana, passata attraverso la parola di Pasolini e l’innocenza poetica pascoliana. Un quadro piuttosto naif, direbbe qualcuno. Di fatto si fece segno distintivo nel suo essere madre attraverso l’alimentazione. Da genitrice mochena, ovvero mia nonna Lina, persegui una cucina dal ritmo assolutamente naturale: la raccolta delle erbette stagionali, il rispetto attraverso il rito per la carne, la consapevolezza, questo da nonna sua paterna, detta la “guaridora di Montevaccino”, in quanto maestra nella conoscenza botanica, della importanza del cibo per la migliore salute del corpo, dell’anima, nonché dello spirito. Dunque, Claretta, ormai più di quarant'anni fa, fu pioniera nella proposta alimentare: dal vegetarianesimo, al veganesimo, alla cucina Kostakutiana. Mai, sottolineo mai, fu dimentica della importanza dei cicli naturali, come degli elementi primari del cibo, i quali devono essere rigorosamente figli della terra, senza aggiunte chimiche quali ormoni pesticidi o via discorrendo. Tale proposta alimentare non si limitò alla famiglia, bensì prese la strada della ristorazione. Per chi l’avesse conosciuta, di sicuro rammenterà il ristorante Piccola Sorni, sito ai Sorni di Lavis, in cui lei con la sua cucina preparava piatti esclusivamente realizzati con materie prime sceltissime. Pietanze in cui le erbette erano raccolte con le sue mani e lavate accuratamente, perché lavare le verdure, come tutto il cibo è un battesimo, diceva! Dunque a seconda delle stagioni, preparava cibi che la terra poteva mettere nel piatto. Certo mai si discostò dal vegetarianesimo, con brevi periodi di veganesimo, dai lei chiamati purificatori. E, successivamente a questa finestra diciamo ristorativa, lavorò come cuoca, tenendo anche dei corsi di cucina e panificazione – ricordati, Barbara che il pane è il cibo della resistenza!! – diceva…presso il centro di Didattica Ambientale di Segonzano e al centro Sociale Bruno di Trento la cucina per autofinanziare l’associazione di quel tempo, cucinando gratuitamente per poter raccogliere dei fondi pro Centro Sociale. Dunque, modestamente, credo di avere come bagaglio un certo tipo di cultura alimentare. Ove la ricerca e il rispetto per l’ambiente sono sempre stati la luce trainante. Ove la sperimentazione del benessere alimentare sono sempre stati messi in pratica. Claretta, passata nell’ Oltre il 29 agosto 2013, se oggi fosse presente soffrirebbe una sorta di crocefissione. Mi permetto tanto, perché nella sua Etica alimentare, se pur osservante un certo tipo di dieta assente di carne animale ( parentesi: noi siamo, io nipote, lei figlia, di contadini che si auto-sostenevano con terra e carne animale allevata solo esclusivamente per fabbisogno ), era sempre lucido quel pensiero in cui mai bisogno rifiutare un piatto cucinato, soprattutto se offerto da persone che cibo ne hanno poco… e, mai lasciare nulla di avanzo nel piatto, perché di gente alla fame, purtroppo, ne è pieno il mondo. Inoltre, aggiungo, noi in questa opulenza occidentale possiamo permetterci di scegliere la dieta, mentre chi non ha cibo mangia ciò che trova… Crocifissione? Certo! Perché il cibo è sacro. E deve essere scelto e trattato nella più alta consapevolezza di sacralità. Coltivato secondo natura. Raccolto secondo natura. Mangiato secondo natura. Ora non è così. Si mangia verdura di plastica, cari vegani. Cadaveri verdi confezionati dentro buste asettiche. Vegetali assenti di sali minerali provenienti dalla terra, perché coltivati in idroponica. Dunque basta aprire una busta e mangiare, nemmeno un battesimo purificatore… forse sono più morte le verdure piuttosto che la carne stessa. E, si instillano i sensi di colpa a chi mangia un uovo donato da qualcuno che ancora ha qualche gallina che razzola, perché fa aumentare il colesterolo…senza prendere atto che a causa delle coltivazioni intensive di verdure e inquinamento sempre più copioso, compreso quello per realizzare quei nefasti burger vegetali di cartone compresso, sono in pericolo di estinzione uno degli insetti più preziosi dell’equilibrio biologico floreale: api, ma anche farfalle, come ad esempio la farfalla monaca. Ovviamente l’inquinamento e prodotto anche dagli allevamenti intensi, mai dimenticarlo! Dunque non mi si parli di regimi alimentari. I regimi sono altamente pericolosi, in ogni forma espressiva. Bensì auspico nella ragionevolezza, ovvero in quel buon senso che proviene dalla nostra vera cultura alimentare. Rispettosa di cicli e assente di sprechi. Perché un afghano, oggi, darebbe chissà cosa per avere un uovo senza sentirsi in colpa, perché sta mangiando un prodotto proveniente da un animale… Se, in occidente, o comunque nel mondo in cui il cibo abbonda, si seguissero semplici dettami, costituiti dai cicli naturali, forse avremo un inquinamento inferiore. Ci siamo mai domandati quanto costa in termini di inquinamento la produzione del cibo industriale sia carnivoro, che vegetariano, che vegano? Ci siamo mai domandati quanto costa produrre il packaging per tali cibi. Ci siamo mai chiesti quanto inquina l’avanzo di cibo che si butta nel pattume? ( non mi si dica bio, perché la componente chimica e plastica è ormai presente anche in esso). Ci siamo mai detti che forse se mangiassimo meno potrebbe essere un buon inizio per un futuro più pulito? Ci ricordiamo di come era la dieta mediterranea, in cui carne e pesce erano solo sulla cuspide della piramide, mentre sotto i cerali e sotto ancora per una base forte e ampia vi erano legumi, verdure e frutta, e gli zuccheri pressoché assenti? Mah! Ormai qui è solo terra di ego, ove l’io alimentare vuole dettar legge in un modo o null'altro. Felice di avere questa cultura fuori tempo, auguro, con le parole di Demetra, l’avvio al ritorno del buonsenso, ringraziando Claretta ricordandola nell'anniversario della sua morte, quale vita futura. “E rese sterile quell'anno, sulla terra feconda, per gli umani, e tremendo; e il suolo non lasciava uscire i semi perché Demetra dalla bella corona li teneva nascosti. Invano i buoi trascinavano per i campi molti aratri ricurvi, e molto orzo candido cadde nella terra, senza frutto”. E 1 - 305 Testo tratto da Eleusis e Orfismo a cura di Angelo Tonelli. In foto tavola 52 della mia opera "Dillo col Corpo Orfico" Barbara Cappello |
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June 2022
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