Barbara Cappello
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DI ARTE.
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​DI PENSIERI.

A cura di: Barbara Cappello

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Genitorialità

4/27/2020

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Madre, mi hai messa a conoscenza della Morte.
Padre, mi hai allattata tra la febbre della mastite.
Madre, hai oltrepassato l’oltre con l’eleganza di una cerbiatta sui tacchi a spillo.
Mentre, tu, Padre, cantavi l’Amore per lei.
Madre, mi ha confidato che la malattia si nutre di ciò che si ama e si odia al contempo.
Padre, mi dai notizia che senza Amore, la Morte è spietata.
Madre, mi leggevi Pascoli, mentre il tuo latte si calcificava nella febbre.
Padre, mi educasti alla tribù, perché i genitori sono molteplici, alimentandomi col latte di vacca.
Madre, mi insegnasti a mangiare Natura,
Mentre, tu, Padre, me ne insegnavi la simbiosi.
Madre, mi cantasti la vita del diverso.
Padre, mi invitasti alla tua tavola eterogenea.
Madre, fosti guerriera nella tua dipartita, urlando il diritto alla Morte.
Padre, la accompagnasti, nonostante il burocratico divorzio, nella poesia del suo passaggio.
Madre sei stata di tanti figli non naturali, come una guida nel buio di tante Anime.
Padre, sei il messaggero della resistenza Anarchica nel più spietato mondo della finzione.
Madre ti ho odiata per tanto ti Amo.
Padre ti ho odiato per tanto ti Amo.
Madre, mi hai resa consapevole del mio pensiero critico, tanto quanto, Padre mio, mia hai resa libera nel mio essere.
La mia speme risiede, ora, nel dare altresì Amore.
Barbara Cappello

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Toccare la distanza – un museo per il tatto.

4/20/2020

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   La giusta distanza- opera di Federico Meneghello -

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Un fuoco nero che brucia con l’oscura brillantezza di una gemma
Prosciuga il vasto cielo e la terra di tutto il loro colore naturale.
Nello specchio della mente non si vedono né montagne, né fiumi;
Cento milioni di mondi agonizzanti, tutto per niente
Hakuin Ekaku


Guardare per vedere o vedere per guardare? Questa è una domanda che spesso, in questi giorni, mi pongo. Nel primo caso è una visione superficiale, una scorsa alle immagini, piuttosto che alle parole, come alle forme geometriche, oppure antropomorfe, geomorfologiche e via discorrendo; un approccio etereo attraverso la pupilla, che rimanda poi il visivo al cervello, disegnando ciò che si è visto.
Nel secondo caso si tratta di applicare una “tattilità” visiva allo sguardo stesso. Dunque soffermarsi nel campo del vedere per attivare un accento nel guardare, pertanto osservare, pensare a ciò che si sta guardando, decifrare, tradurre ciò che stiamo guardando, trasmutare appunto un senso nell’altro.
Quel che ci permette di “sentire” col tocco dello sguardo è la conoscenza di un altro senso di cui siamo dotati, ovvero il tatto.
Per un non vedente, la tattilità è una forma di sopravvivenza. Di fatto vede attraverso il toccare; ricostruisce le forme su cui poggia le mani e trasforma queste percezioni in visioni che si aprono dietro il buio delle palpebre. Mentre per un essere dotato di vista, questo senso è apparentemente meno importante, tanto che, nel momento storico in cui viviamo, esso diviene un gesto non fondamentale, in quanto i cambiamenti di abitudini, come l’utilizzo di apparecchiature sofisticate, quali smart phone, tablet etc, divengono l’interazione per il touch, dunque la falsificazione del tocco: tocco lo schermo e vedo, ma cosa guardo? …una sorta di superficie in cui l’etere virtuale si conclama falsificando il senso della percezione. Cosa tocchiamo mentre il dito scorre sul liscio vetro del virtuoso progresso? Forse le fattezze dell’immagine che stiamo guardando, oppure appena ne scostiamo il polpastrello, tale immagine è già scaduta nel post, ovvero nel dopo, pertanto le forme non esistono?
Il tatto è il primo dei cinque sensi che si sviluppa durante la vita fetale. È l’approccio che il neonato ha appena poggia le labbra per suggere il latte materno; è la conoscenza del mondo che gli sta intorno quando tocca con le manine, porta alla bocca e viene toccato con le carezze dei genitori, il tatto  risulta essere anche un canale cruciale per la comunicazione.
Toccare, dunque, per vedere.
Mi soffermo su questi due sensi, poiché vorrei volgere un punto di attenzione su entrambi, quali elementi chiamati a mettersi in discussione, più che in relazione tra essi.
Nel romanzo “Cecità” Di J. Saramago viene narrata una epidemia in cui la popolazione di una città mai nominata, a mamo a mano che il contagio dilaga, perde la vista.
Nella realtà attuale, durante la pandemia di Covid-19, il senso chiamato in causa per la maggiore è il tatto.
Naturalmente il primo è un romanzo, mentre purtroppo l’evento coronavirus è reale. La regola prima per cercare di prevenire il contagio è di mantenere una adeguata distanza dall'altro, oltre che utilizzare presidi preventivi quali mascherine, guanti e gel disinfettante.
Addentriamoci, ora, solo per un momento in questo nuovo stato, dove il senso del tatto rimane particolarmente compromesso e quello della vista commutato in un non senso.
Stare distanti, significa evitare il contatto, non toccare, non toccarsi. Pertanto si può usare questo senso solamente in maniera adeguatamente protetta e in soluzione virtuale, ovvero “touchando” il mondo dell’etere elettronico…per vedere, ma non sentire. Dunque la concretezza della sostanza, la quale attraverso sia il tocco fisico che visivo, potrà subire delle alterazioni ricettive, e forse, divenire una distorsione della realtà.
Se tocco con la mano la pelle di un corpo non mio, la carezzo, ne percepisco le forme, il calore, la consistenza, e la osservo, mentre compio tale gesto, nella mia mente, come nella mia memoria si apre la ricezione di una sensazione che mi conferma la realtà di ciò che guardo e tasto. Ma se venissi educata a non usare questo senso, fin da quando bambina, come se ne venissi addomesticata in età adulta, verrei privata di tale impressione e creerei, probabilmente, un approccio futuro distorto, che vira verso la virtualità.
Dunque la relazione tra questi due sensi subisce una distorsione e lentamente crea una distanza sempre più discutibile nella vita sociale e interpersonale di un futuro prossimo in cui non si potrà toccare l’altro, ma probabilmente non lo si potrà nemmeno guardare, perché il distanziamento fisico crea una barriera invisibile che pone come deterrente il senso di pudore, la non conoscenza, pertanto paura…e quest’ultima potrebbe rendere ciechi.
Usciamo da questo futuro anteriore, oltrepassiamo il presente e rechiamoci per un momento nella preistoria, ovvero pre-SARS-CoV-2 dove esiste un museo tattile, non necessariamente per non vedenti, di cui sono rimasta molto incuriosita. Farsi condurre, bendati, in un percorso tattile dove si propongono modelli in scala di monumenti, chiese, basiliche e architetture varie è l’ingresso alla percezione di ciò che si sta guardando. Esplorare con le dita delle mani, significa dare copro alla immagine che dovremmo guardare; vuol dire disegnare nella mente la struttura percepita; indica i particolari che si concretizzano nello sguardo dentro il cervello. Si tratta di educare, oggi - mentre nel futuro anteriore direi rieducare – a tale senso, il quale entra in diretto dialogo con la vista.
Questo luogo, inizialmente forse voluto per i non vedenti, da ora in poi, più di quanto si possa immaginare è, e sarà, un luogo per il recupero di quel senso fondamentale per la relazione, per l’esplorazione dell’altro, per la comprensione dello stesso e per la conservazione della biologia naturale dell’essere vivente…senza la pretesa di confinare dentro un museo il tatto.
…perché se “Nello specchio della mente non si vedono né montagne, né fiumi” significa che “Cento milioni di mondi agonizzanti”, potrebbe voler dire “tutto per niente”.
 
Barbara Cappello
Trento, lì 19 Aprile 2020

 Crediti: 
 Opera di copertina: La giusta distanza
 di Federico Meneghello – olio su passpartout cm 14,5 x 21
Museo Tattile Varese
Villa Baragiola
Via Ammiraglio Francesco Caracciolo, 46, 21100 Varese VA
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