
Uno spazio libero, sconfinato, aperto, vuoto e tranquillo,
Terra, le sue colline i suoi fiumi sono soltanto nomi, niente più.
Potete dividere la mente in quattro, raggruppare tutte le forme in una,
Esse restano sempre solo una eco che rimbomba in vuote gole montane.
Hakuin Ekaku

Piccoli e corti sono i suoi passi, come se indossasse dei geta, mentre conduce nel suo antro creativo, tra le timide margheritine del prato appena soprastante all’uscio del suo studio.
La luce all’interno di questo magico luogo in cui Cristina Zanella esprime la sua arte è fioca, proprio come dentro una grotta e il profumo dell’acqua colorata subito inumidisce l’olfatto. Sul grande tavolo le vaschette con gli inchiostri sono perfettamente allineate.
Tra tutte le opere appese alla parete, una coglie gli occhi, ne cattura lo sguardo. Scura, dai blu inchiostrali di toni e luci diversi, pare una grande nube, che piano piano si dissolve dietro lo sguardo fisso e svela delle sagome e luci nascoste: una prateria inesplorata con un grande albero verso la sinistra, in alto; forse il movimento del vento che sposta le spighe notturne nel centro. Un viaggio oculare nelle oscurità luminose in cui l’essere si immerge senza timore alcuno, perché il calore della serenità e la comprensione di una nuova visione si espandono tra le velature delle sovrapposizioni.
“È stata la mia opera di svolta” - racconta con un dolcissimo timbro vocale – “una stratificazione per arrivare alla dissoluzione”.
Prende una scatola di cartone e come una geisha che si accinge alla cerimonia del tè ne solleva il coperchio per mostrarmi le sue carte nascoste, narranti “Un popolo in cammino”. Poche tracce d’inchiostro sulla carta di cotone, raccontano come l’umanità si muove, si sposta nello spazio e da una terra all’altra. Ma davvero esistono così tante diverse terre, forse non è unico il nostro pianeta chiamato per l'appunto Terra? Ombre che si amalgamano al luogo, come alle piante, come agli spostamenti dei mari e delle arie, questa è una narrazione delicatissima, dagli equilibri precari, impressa con un semplice, ma maestro gesto di mano. Acquarello.
La magia di questa sua arte è come la carezza di un petalo di rosa che cade dalla corolla per mano del tempo e sfiora, per un alito di Zefiro, la guancia arrosata dal sole.
“Siamo l’eco dei nostri silenzi”, si legge a malapena su una parete della sua “grotta”. È scritto con una penna dal blu sbiadito, quasi vorrebbe forse non farsi leggere, bensì farsi udire.
E come un gioco d’aria, con le dita volteggianti, apre una cartella ove sono riposti questi suoi lavori della eco silente.
Dunque un gatto, che forse potrebbe aver intinto direttamente nell’inchiostro per poi farne un timbro sulla carta, che parla con le ombre di Nakata. Si, proprio quel signor Nakata, dal pensiero astratto che parla con i gatti e sa far piovere animali dal cielo, narrato da Murakami in “Kafka sulla spiaggia”. E proprio il gatto “impresso” da Cristina ci racconta le tavole di questa sua opera in cui le ombre svelano, non celano, ed emergono con sembianze definite da una bellezza profumata di rosa bianca, come affondano nella struttura profonda dell’esistenza. E ancora si muovono, danzano tra i raggi di un sole appena accennato dai colori delle messi mature, in quella improvvisazione descritta da un mulino di vento, che porta con sé la saggezza del ciclo della vita, quale consapevole riflessione di un percorso nell’amore.
Tutte le opere di Cristina Zanella sono delle poesie e incanti al tempo medesimo. Sono la melodia delle sue pennellate d’oriente dentro cui la presenza abbraccia l’assenza, come tutte le forme convergono in una unica e cantano quella eco che rimbomba e riverbera nel silenzio delle gole, senza il vetro di trasparente confine. Sono come la goccia di vino caduta dalla brocca sul lino bianco della tovaglia, che decanta in un attimo la gioia o sofferenza vissuta.
Trento, lì 22 maggio 2021
Barbara Cappello
-pubblicato sul n. 8 / 2021 di Arte Trentina-