Ultra-spazi e dintorni

Esiste una dimensione ultra-spaziale? Un luogo oltre il cosmo? Perché lo spazio lo immaginiamo così immenso, infinito, scuro, puntellato di stelle, pianeti, satelliti, galassie, buchi neri?
Mi domando se l’universo altro non sia che una dimensione alla quale ci stiamo abituando. Ma, se oltre a tale dimensione spaziale, ovvero l’infinito, ne esistesse un’altra di dimensione? Cioè se lo spazio fosse contenuto, a sua volta, dentro un altro spazio, apparentemente invisibile, ma comunque concreto, ancora più grande e complesso, più emancipato “neuro-fisicamente”, formato da molecole di materia, gas o quant’altro completamente diversi da ciò che anche la scienza fino ad ora ci ha fatto conoscere?
Immaginiamo per un istante (e qui il tempo sarà relativo alla immaginazione), questa ultra-dimensione spaziale senza colore, trasparente. Una sorta di contenitore-non-contenitore che lascia spazio alla forma fluida delle molecole, le quali si compongo e scompongono, cambiano e scambiano, modificano e costruiscono a seconda di un tragitto ben preciso, tracciato da codici numerici, calcoli matematici ben iscritti e sequenze numeriche. Uno spazio talmente sofisticato da sembrare vuoto dentro una pienezza di informazioni, talmente vasta da necessitare un “sotto spazio”, come quello che – in poche parole – conosciamo così come ci viene rappresentato, per elaborare e purificare le informazioni, le quali dentro l’ultra spazio non si sono riuscite ad evolvere per difetto di matematica…
Forse una cosa è certa, la nostra materia non ha confini, né limiti nello spazio e il cervello lo rappresenta, in quanto altri non è che un insieme di codici, i quali fuoriescono dal cranio attraverso le azioni, il vivere ed il pensiero e si espandono nello oltre per ricercare quella dimensione ultra-spaziale di cui se ne ha flebile sentore, ma che non ha definizione.
Dunque ci troviamo a pensare su riflessioni sicuramente già fatte. E se Leopardi, nel suo infinito, disegna questo luogo con i sensi, ora, sulla sua definizione sensoriale possiamo attivare quei sensi per spingerci oltre ancora, digiuni di sapere, così da farci cullare nel suo naufragio marino per elevarci col vento sino nell’infinito.
Ed ecco che l’arte, ancora una volta, si pone dentro uno spazio definito quale caverna, per abbattere i muri intrisi di nefasti eventi e per debellare i confini di quelle vibrazioni cauterizzanti che furono, così da aprire verso l’infinito quei pensieri evolutivi alla ricerca di quel ultra-spazio dove forse un giorno troveranno definizione di essere. Oppure non essere.
​Nella foto opera da me realizzata
…in attesa di mutamento organico.

Barbara Cappello

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