AUBET CUBET QUERE
Sempre mi sono domandata che valenza avesse la sacralità delle vergini nei riti. Sia pagani che religiosi.
Pensare a un corpo femminile messo sull’altare sacrificale, come carne sacra, mi fa capottare lo sguardo nell’oltre dell’indicibile. Svenire.
Tuttavia, è dentro questa estasi che risiede la visione divina. Semplicemente pensando a Persefone, sacrificata nel regno di Ade per poi rinascere nella prosperità terrena, subito mi rimanda alla lucidità del processo naturale di vita/morte/rinascita.
La Natura è spietata. Lo sappiamo. Quantomeno potremmo osservarlo anche dentro il sacrificio della preda che diviene corpo nel predatore.
Dunque, l’essere umano abbisogna di tale preda, vergine, innocente, per sfamare lo spirito proprio. E, questo avviene dalla notte dei tempi della cultura cosiddetta occidentale.
Nonché, tale rito, avviene dal remoto tempo del cristianesimo, cattolicesimo.
Ma, se la Vergine in questione, rimane priva di canonizzazione, dunque rimane nel limbo del popolar profano, questa subisce la “declassazione” da vergine a ragazza dai facili costumi.
Fortunatamente, tali leggende , sovente abbracciano l’anima popolare, che ne venera l’effige.
In questa opera, Aubet Cubet – Quere – triade in una sola immagine -è l’emblema della gioia, vissuta attraverso il riconoscimento del volgo che identifica, ad oggi, la generosità della bellezza femminile , scevra da
dettami canonizzati.
Canto inno lode
Lavorare nella ricerca tra sacro e profano fa scivolare i pensieri e l’anima in un terreno da cui tutto è probabile come il suo contrario.
Tesi e antitesi si intrecciano di continuo e tessono trame di spiritualità, leggenda, narrazioni, corpi vissuti, visioni inventate, immagini reali e concretezza surreale.
Ho lasciato fluire la tempera grassa come una pennellata iniziatica lasciando l’espressione dell’essenza delle tre Vergini uscire dalle setole intrise nel colore delle vita, della femminilità, della sofferenza e della sacralità.
Pensando, guardandole, a come battezzarle, semplicemente nella trama costruttiva della loro presenza in Val Pusteria e, presso il Tempietto Longobardo di Cividale Friuli, ho compreso che Aubet è Canto, Cubet è Inno e Quere è Lode.
E, la tessitura delle carte su cui aleggiano diviene la loro sinfonia ove liberare la voce che le narra.
Tra Sacro e Profano
Il triangolo isoscele ha un movimento di ricerca entro cui la divinità e la sacralità si manifestano…
Il triangolo equilatero è una rappresentazione del potere che esprime il vertice come divino e la base come discepolo: dunque una gerarchia statica.
Il trapezio isoscele rimanda ad un movimento di ricerca spirituale caotica, tuttavia innocente e ignara ancora del Supremo Uno.
Il trapezio equilatero tenta di definire la spiritualità attraverso una geometria equilibrata, ma definisce lo spazio spirituale dentro i confini dei dettami religiosi.
Il profano gioca con la composizione geometrica, di cui sopra.
Forse tenta un dialogo entro cui abbattere le linee perfette che vorrebbero definire una sacralità canonizzata.
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PILTRUDRE
La ricerca di Aubet Cubet Quere, parte da Cividale del Friuli.
Esattamente dal Tempietto longobardo. Curiosa di capire il motivo
per cui le tre vergini qui sopra citate, siano raffigurate in un
affresco all’interno del Tempietto, dato che la loro storia si narra a
Maranza, ameno borgo in Val Pusteria, mi sono recata, durante la scorsa primavera, a Cividale.
Abbacinata dalla bellezza del Tempietto Longobardo, ho iniziato dunque da lì .
Piltrude, madre di tre nobili longobardi, Erfine, Marco e Anto, alla
metà circa dell’VIII secolo, ritiratasi nel convento di Salt, successivamente alla sua dipartita, data la sua veneranda
posizione, la abbadessa, Margherita della Torre, fece collocare
nella zona presbiteriale del Tempietto dell’oratorio di S. Maria in
Valle un sarcofago a Piltrude dedicato: un sepolcro composto
riutilizzando delle lastre di arredo liturgico.
Questo il mio omaggio a lei, cosiddetta anche regina dei
Longobardi, che da spunto a questa mio “pellegrinaggio” artistico.
Ph su carta cotone, pastello olio, cuciture a macchina, passamanerie, smalto -
MARGHERITA 2.0.24
“Qui si parrà la tua nobilitate”.
Inferno II - Dante -
Se mai sembrerà qui la nobiltà, Donna che fu nell’ordine delle Benedettine. Bellezza. Canto. Vigoria. Fede e Virtù. Un invocar le Muse nello spirito del corpo supremo.
Vestita di fervente fede, coll’eleganza di Badessa, a voi svelata, Margherita della Torre-.
1371-1402 - del Monastero di Santa Maria in Valle in Cividale.
Ph su carta cotone, pastello olio, smalto, passamanerie, filo oro. -
CARITÀ
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
CASTITÀ
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
CONCORDIA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
CONTINENZA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
FEDE
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
FORTEZZA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
GIOIA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
INNOCENZA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
INTELLIGENZA
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
SEMPLICITÀ
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm -
VERITÀ
China acrilico gouache su carta cotone
38 X 38 cm
Possiamo giocare con qualsiasi geometria per definire queste dodici Virtù.
Tuttavia, lo scomposto moto definisce una Pazienza scapolare, ove i rettangoli della tradizionale sopravveste benedettina giocano a difesa della virtù indossata, soverchiando la sofferenza in letizia.
Castità, stringe nel punto vita raggi in cui l’acutezza delle forme triangolari si espande verso la ricerca del divino.
Fortezza, imbraccia alabarde in cui la scrittura del sapere, come del divino, viene custodita.
Carità, ama in assoluto. La divinità si apre come l’espansione di un loto verso l’Infinito. Innocenza, scevra da armi e da corruzioni, si manifesta nell’essenza del suo essere. Intelligenza, col capo in espansione aurea, elargisce nella maestosa veste l’incedere verso la cultura.
Concordia, come un derviscio ruota senza sosta nella danza concordante le anime. Semplicità, con le spalle scoperte e lembi che cascano nel lago intonso del semplice vivere, rivela con casta malizia la sincerità.
Verità, quale miglior gioco di geometrie sconnesse potrebbe meglio far dedurre ciò che è vero e ciò che non lo è?
Fede, se fosse una eresia avrebbe connotazioni disarmoniche. Mentre Continenza, strappa un drappo delle vesti, al fine di lasciare andare quell’imposizione dogmatica che la costringe alla falsità verso sé stessa, dunque al divino. E, infine, Gioia sul cui capo l’inflorescenza si propaga, tende braccia verso la generosità del sentimento che dona.